Tecnologia iPhone app e CoViD-19: che ne è della privacy?

27 Novembre 2020

Un’analisi condotta su oltre 400 app anti-Covid rilasciate in decine di Paesi riaccende il dibattito sulla necessità di far convivere il diritto alla salute con il diritto alla privacy.

Che cosa fanno, per davvero, le app di tracciamento che negli ultimi mesi sono state pubblicate a centinaia sugli store di ogni Paese? Quali dati raccolgono? E come? Utilizzano la posizione precisa del telefono o si limitano a misurare la prossimità con altri dispositivi? A farsi queste e molte altre domande è Jonathan Albright, direttore dell’unità di indagini digitali del Tow Center for Digital Journalism, che ha puntato i riflettori sul delicato equilibrio tra diritto alla salute e diritto alla privacy nel bel mezzo della pandemia.

NON SOLO TRACKING. Albright ha analizzato 493 app per iOS dedicate alla CoViD-19, dalle app di tracciamento dei contatti a quelle che offrono servizi di telemedicina, pubblicate in decine di Paesi diversi. In particolare, si è concentrato sui permessi richiesti dalle 359 applicazioni che tracciano i contagi e notificano il potenziale contatto con casi positivi. Di queste 359 app, solo 47 si appoggiano ai servizi di tracciamento messi a disposizione da Google e Apple che si limitano a raccogliere le tracce bluetooth dei telefoni ai quali ci siamo avvicinati.

Le restanti app richiedono la più ampia gamma di permessi di accesso: il 43% delle app analizzate chiede di accedere alla posizione precisa del dispositivo, il 44% alla fotocamera, il 22% al microfono, il 32% alle fotografie e l’11% alla nostra lista di contatti.

APP INVADENTI. «È difficile giustificare la richiesta di accesso al microfono o alle nostre fotografie da parte di queste app», spiega Albright, anche se sono realizzate da università pubbliche, ospedali, autorità sanitarie. Il problema, sottolinea l’esperto, è che molte di queste applicazioni sono sviluppate da enti a carattere locale, spesso in collaborazione con sviluppatori o aziende esterne. Ciò che non è chiaro è dove vadano a finire tutti questi dati personali che sono collegati o collegabili a informazioni di natura sanitaria.

Albright spezza anche una lancia a favore di Google e Apple: il sistema che le due aziende hanno rilasciato nella primavera 2020 è stato progettato esplicitamente per notificare agli utenti la possibile esposizione al contagio. Non certo per ricostruire la catena dei contatti di un positivo (il contact tracing) o per fornire servizi di telemedicina. Non a caso sia Apple che Google consentono l’accesso ai dati relativi agli utenti positivi solo alle autorità sanitarie e non ai singoli sviluppatori di app.

CONTAGIO SOTTO CONTROLLO? Queste restrizioni imposte dalle due aziende hanno fatto sì che numerose aziende, scuole e università, soprattutto negli Stati Uniti, rilasciassero negli ultimi mesi delle app dedicate al monitoraggio specifico dei loro utenti o dipendenti con il fine ultimo di contenere il contagio, utilizzando anche dati relativi alla posizione GPS degli utenti e altre informazioni personali.

Apple, intervistata dai media americani sull’argomento, ha dichiarato che tutte le app che in qualche modo toccano il tema CoViD-19, incluse quelle che non utilizzano le API di notifica dell’esposizione al contagio, vengono revisionate attentamente con l’obiettivo di assicurarsi che siano pubblicate da istituzioni pubbliche o private che si occupano effettivamente di salute o formazione.

Inoltre, specificano da Cupertino, l’ultima versione di iOS notifica chiaramente all’utente quando una app sta utilizzando microfono o fotocamera e permette all’utente di scegliere se condividere o meno con la app la posizione precisa del proprio dispositivo.

Fonte: Focus – Tecnologia

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